Milano 2018. Operazione nostalgia
Questo è un post nostalgico.
Dopo tre anni e mezzo che non vivo più a Milano sto finalmente iniziando a metabolizzare la cosa.
Quando si tratta di distacchi sono lenta, molto lenta.
O meglio, citando D’Annunzio: quando qualcosa o qualcuno mi attrae giusto un po’ ma senza “avvincermi”, non ci metto molto a distaccarmi. Il problema è quando qualcosa o qualcuno mi ha “avvinto”.
Sono fatta così, sono scorpione e ho questa insana tendenza al tutto-tutto niente-niente. Ok, negli anni l’ascendente bilancia ha mitigato un po’ le cose, ma la natura sta sempre lì, a ribollire sotto la diplomazia.
E dunque quando si tratta del niente-niente non ci sono problemi, i problemi sorgono quando mi sono concessa il tutto-tutto.
A quel punto staccarmi è difficilissimo, una vera e propria lacerazione. Eppure non posso non farlo quando capisco che ho bisogno di nuova linfa. A un certo punto diventa più doloroso lo stare che il non stare, e allora vado.
Così è stato con Milano, ma è stato come concludere una storia d’amore appassionata che solo oggi posso dire di aver (quasi del tutto) metabolizzato.
In questo post, che non ha alcuna pretesa di seo, indicizzazione e compagnia bella, voglio semplicemente raccontarvi qualcosa della mia Milano, di quei posti che mi hanno fatto battere il cuore e che non smetterò mai di amare.
Perché, come scrisse Aldo Nove qualche tempo fa: “Milano è bellissima ma non diteglielo”.
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I vicoli di Brera
Per me Milano è Brera. Ci ho vissuto per diversi anni e l’ho amata profondamente. Bellissimi i grattacieli, City Life e tutto il nuovo scintillante skyline, ma il fascino della Vecchia Milano è insormontabile. Palazzi eleganti che racchiudono cortili come scrigni, case di ringhiera, boutique e negozi storici (come quello delle due signore anziane che vendono solo lampadine in corso Garibaldi: esiste ancora?), gente di ogni tipo e nazionalità ma anche anziani della Milano storica, testimonianze viventi del passato del luogo. Vita pulsante a ogni ora, ma anche la pace dell’orto botanico. Il tram 2, il 12 o il 14 che portano dritti in Duomo, da prendere al volo oppure no – meglio fare due passi. Poi certo, la Brera fighetta. Ma quella non l’ho mai amata, ho sempre amato quella retrò, impregnata di eleganza, di storia e di bellezza. E pensare che negli anni ’50 era un quartiere a luci rosse!
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Piazza Cordusio
Ho un amore viscerale per Piazza Cordusio, sì proprio dove ora è aperto il nuovo Starbucks. Non so se questo le abbia tolto fascino, forse un po’ sì, perché la cosa bella di Piazza Cordusio è quando si svuota. Prima c’era la sede dell’Unicredit e di giorno era – è – trafficatissima e piena di gente: ma la sera si svuota e diventa contenitore di passaggio di persone e di tram che si incrociano. Forse con Starbucks perderà questo suo aspetto e diventerà più piena sempre. Non so se potete immaginare la bellezza di Piazza Cordusio nelle sere d’estate: ci passavo sempre tornando a piedi verso casa ed era una meraviglia attraversare quel coacervo di vibrazioni, incrociando i tram che emettevano scintille luminose e pochi altri passanti.
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Via Torino
Per molti via Torino è solo una via commerciale, per me è una via piena di ricordi. Punto. Ho lavorato per un bel po’ di tempo in via Torino, mi sono infilata decine e decine di volte in uno dei suoi cinema, da sola o in compagnia (ebbene sì: io a Milano andavo al cinema spesso e volentieri da sola, per i fatti miei, anche alle 3 del pomeriggio quando potevo, e mi piaceva da morire), sono andata in palestra, ho frequentato i suoi bar, dilapidato sostanze nei suoi negozi, ho acchiappato innumerevoli tram, cercando sempre di tenermi in equilibrio senza stare attaccata alle maniglie: oggi questa cosa mi fa riflettere. Sto leggendo un libro di Wayne Dyer sul potere dell’intenzione: dice che quando ci sembra che la vita non vada come vorremmo dobbiamo immaginare l’intenzione universale come un tram, e figurarci noi che ci aggrappiamo alle sue maniglie e ci lasciamo trasportare. Ecco, ho capito dove sta l’inghippo: io ho sempre avuto remore ad aggrapparmi alle maniglie dei tram, ho sempre cercato di starmene in equilibrio da sola, facendo una gran fatica. Dovrei imparare ad affidarmi di più.
I portici di Corso Vittorio Emanuele
Tutti sono sempre di corsa sotto i portici di Corso Vittorio Emanuele, rifugio sicuro in cui mescolarsi alla folla fingendo di avere qualcosa di importantissimo da fare.
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Il cinema Anteo
quando era ancora un cinema d’essai, dove vedere film impegnati la domenica pomeriggio.
Le stazioni della metropolitana che significavano qualcosa
Brera-Lanza-Piccolo Teatro, Moscova, Centrale F.S., Rogoredo F.S. quando andavo a lavorare in Sky. Ma anche Cascina Gobba quando andavo a lavorare a Sesto San Giovanni e ogni giorno facevo il percorso contrario a quello di molti: dal pieno centro mi spostavo in periferia. Che brutta la periferia di Milano, ammettiamolo, però alla fine mi ero affezionata anche a quella, ne vedevo le trame, le storie, immaginavo le vite delle persone sedute con me sui mezzi pubblici.
Gli arrivi e le partenze dalla stazione centrale
Lo sguardo in su a scrutare il tabellone dei treni, ma anche il Malpensa Express e quella volta che per andare a Istanbul sbagliammo aeroporto e mentre andavamo a Malpensa ci accorgemmo che saremmo partiti da Orio (miracolosamente riuscimmo a non perdere l’aereo: era in ritardo).
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La prima volta che sono arrivata a Milano
con una valigia enorme, piena di vestiti e speranze (e probabilmente anche libri).
E anche le zone più brutte
dove ho vissuto i primi anni, che ho odiato ma che mi hanno fatto amare infinitamente di più quelle belle.
Questo è un post nostalgico, dicevo, geograficamente nostalgico, perché in questo periodo va così. E’ tempo di riflessioni e introspezioni, di ricerca dell’essenza. Sarà l’autunno, sarà che il mio compleanno si avvicina, saranno le congiunzioni astrali o sarà semplicemente la vita.