Vita sociale = vita social?
Se già in tempi non sospetti i social media erano una parte enorme della nostra vita, durante la quarantena da Coronavirus la nostra vita sociale si è trovata praticamente a coincidere con la nostra vita “social”.
Instagram in particolare è diventato il mezzo preferito per combattere la distanza sociale a suon di dirette ad ogni ora sugli argomenti più disparati, meme e hashtag coniati ad hoc per l’occasione.
Lo so bene perché sono un’utilizzatrice assidua – oserei dire ossessivo compulsiva – di Instagram.
O meglio: lo ero.
Quella piccola iconcina rosa e accattivante era il magico pulsante di accesso a un mondo in cui potevo entrare ogni volta che mi andava, e nello specifico:
- quando mi annoiavo (addio noia: da quando c’è Instagram non esisti più, perché in ogni istante in cui potresti esserci tu, adesso c’è lui);
- quando qualcosa mi provocava ansia e volevo tenerlo mentalmente lontano (benvenuta procrastinazione);
- in coda in qualsiasi luogo pubblico (addio osservazione delle persone e delle situazioni, quella cosa che fa tanto bene alla creatività);
- nelle pause dal lavoro (interruzioni a gogo);
- a letto prima di dormire (con conseguenti sogni molestati dall’ultima foto pubblicata da quella persona di cui preferivi non sapere più niente, ma che ti sei ritrovata a vedere su Instagram);
- ah: naturalmente in bagno!
Potrei mettere la mano sul fuoco che qualcuno, là fuori, si riconosce in queste situazioni.
La fregatura di Instagram è che non puoi dire: lo tolgo dal telefono e lo utilizzo solo dal computer (come ho fatto con Facebook). Non funziona così: se lo togli dal telefono lo togli definitivamente, perché pubblicare foto o stories da desktop è decisamente più macchinoso.
Quella piccola trappola rosa
Erano diversi mesi che avevo in mente di eliminare Instagram (o meglio: l’utilizzo compulsivo di Instagram), come volevo e vorrei eliminare dalla mia vita altre abitudini nocive (i troppi dolci, per esempio, o andare a letto tardi). Però con la comunicazione digitale ci lavoro e ho impiegato tempo per creare un personal brand: non volevo rovinare tutto per la mia incapacità di gestire in modo sano uno strumento.
Così ho continuato a tenere la maledetta iconcina rosa sullo schermo del cellulare, adottando qualche debole strategia come “nasconderla” dentro altre cartelle, oppure posizionarla in una schermata successiva alla home. Ma ragazzi, non c’è niente che il nostro cervello (il mio di sicuro!) sappia fare meglio che trovare nuove strategie di adattamento, e così il dito diventa il più veloce del West a dribblare questi trucchi da dilettante e arrivare a cliccare sopra l’icona rosa.
Insomma, non so voi, ma io mi sentivo in trappola.
In trappola a guardare le stories come se fossero la mia puntata preferita di “Beverly Hills 90210” negli anni ’90 (con la differenza che quella si vedeva una volta a settimana, le stories h24), in trappola a scrollare il feed in cerca di tutto e niente, in trappola nel cercare persone che non avrei dovuto cercare, in trappola nel seguire persone che non volevo più seguire ma che sarebbe scortese defolloware.
Quando è iniziata la quarantena e tutti si sono buttati a capofitto sui social per colmare le distanze fisiche io mi sono sentita ancora più in trappola, così, come faccio sempre quando mi trovo in un contesto nuovo, dapprima ho studiato la situazione in silenzio.
Ogni volta che aprivo l’app faceva la sua comparsa la notifica di una nuova diretta sugli argomenti più disparati. E poi gli aperitivi su Instagram, il brunch cucinato online. E i meme, un’infinità di meme, condivisi a ripetizione nelle stories perché qualcosa bisognava pur condividere.
Ma soprattutto la cosa peggiore: i consigli da parte di praticamente ogni influencer o brand su cosa fare a casa in quarantena, in un range che andava dal ridipingere le pareti al decluttering massivo all’imparare il giapponese.
E poi tutti quelli che con un business digitale hanno approfittato dell’occasione per “regalare” corsi online per aiutare le persone, ma che in realtà hanno fatto una bella attività di lead generation per ampliare il loro bacino di utenza in vista del futuro. La verità è che dietro ad ogni: “Ho preparato questo corso gratuito per aiutare tutte le donne che si trovano adesso a casa a: riconnettersi con la propria femminilità/mantenersi in forma/organizzare le giornate/gestire la comunicazione col partner” l’impulso altruista è solo lo 0,01 %.
Tutto questo surplus di informazioni e questi meccanismi troppo spesso speculativi mi hanno portato a un rifiuto.
Un digital detox per ritrovare la mia voce
E insomma: eccoci qua. Un bel giorno ho deciso di eliminare l’app fino alla fine della quarantena.
Le persone più vicine non avevo bisogno di sentirle su IG, le altre forse adesso si saranno chieste che fine ho fatto: non lo so con certezza perché non ho più visto i direct su IG.
È stato difficile? No, perché ero arrivata a un punto in cui Instagram mi aveva saturato. Non mi arrivava niente di davvero fresco e nuovo, tutto era trito e ritrito, e in quel mare magnum anche la mia voce si era zittita.
Senza Instagram sono più focalizzata sul lavoro (fortunatamente, come freelance writer in quarantena lavoro quanto e più di prima), senza l’ossessione di pensare: questo potrei condividerlo sulle stories.
Bye bye ansia da condivisione
Perché la verità, che lo si voglia o no, è universale: Instagram ci sta togliendo la possibilità di andare in profondità nelle cose. Ci viene sempre più difficile dedicarci a un lavoro focalizzato e concentrato, immergerci in un libro o in un film, dedicarci a scrivere qualcosa di introspettivo che non sia in formato di insta-caption, goderci un’esperienza. Questo perché la nostra mentre si sta sempre più riprogrammando sul pensare se e cosa condividere. Siamo talmente tanto orientati sul trovare spunti di condivisione e sul mostrare ciò che facciamo che ci perdiamo la profondità dell’esperienza, la capacità di osservazione, la noia costruttiva, la creatività vera, che non è quella scopiazzata quà e là sui social.
Per questo ho fatto un passo indietro, perché non ci sto a farmi stritolare da questo meccanismo, soprattutto in un periodo come quello attuale, che invece è un’occasione d’oro, per chi è in grado di coglierla, per resettare, stare dentro sé stessi, analizzarsi, capirsi a fondo, lavorare su di sé, riprogettare il futuro con più autenticità.
Io per adesso sto ancora un po’ in IG detox, e voi?
[Quest’articolo è stato originariamente pubblicato in versione inglese su Elephant Journal]